mercoledì 20 maggio 2015

IMPROBABILI STRALCI DI UN QUASI POST-MODERNO MALINCONICO DECADENTISMO MILANESE

8 giugno 2011 


Me ne frego della pioggia che cade in un Giugno che sembra non aver la minima intenzione di cedere il passo all’estate. Penso al sole che ustiona la testa e brucia negli occhi, penso alle infradito, ai cinesi con gli ombrelli. All’asfalto in liquefazione. Al ghiacciolo, al Cornetto Soft. Niente. Tutto intorno, solo una magra parvenza di autunno che circonda a perdita d’occhio. Dunque cammino, seguendo il vostro passo svelto, cercando di non perdervi, di non perdermi. Somiglio ad un pulcino bagnato in un temporale di marzo.


Fuori dal locale i bambini giocano con le bolle di sapone. Padri e madri non si sottraggono al divertimento. Li guardiamo attraverso i nostri bicchieri un po’ pieni e un po’ vuoti, e sai che c’è? Tutti quanti hanno voglia di giocare.

Da Peppuccio capisci che Shakespeare è approdato un po’ ovunque. E mette d’accordo tutti i pareri. Sarà merito del jazz, di John Coltrane che soffia nel suo sax dietro di noi. Saranno i leccalecca regalati, le caramelle gommose, gli ombrelli sperduti.
Balliamo. E la liquirizia scivola via che è una meraviglia, baby.

Amiamo le cose belle.

E dei canoni comuni ce ne fottiamo un po’.

martedì 19 maggio 2015

QUESTA VOLTA, COME TUTTE LE ALTRE

listening to  Low, Lullaby

- Non posso restare, Sara. Lo sai.
- Ancora un po’, ti prego. Stai con me ancora per un po’.
Lo fissava con occhi rossi di pianto, il mascara colato già lungo le guance, fin sul collo. Addosso, la solita aria stanca dell’ennesimo addio, mista a quella malinconia che anni fa Ivan avrebbe giurato sembrava racchiuderla in una bolla di effimera ed affascinante bellezza. Quasi appartenesse ad un altro tempo, ad altri luoghi. Un sentimento che la abitava come il sangue che lento le scorreva nelle vene, e che da qualche tempo non lo incuriosiva più.
Abilmente schivò il suo sguardo languido, si alzò dal divano e si diresse verso la cucina per recuperare la giacca e abbandonare quella casa. Forse per sempre, come ogni volta le diceva. Forse solo fino al prossimo canto di sirene.
Con rapidi gesti raccolse le proprie cose dal tavolo, con addosso la stessa paura ed insieme la stessa smania di finire presto di quando ci si scaraventa fuori, in giardino o sul balcone, nel tentativo di portare in salvo le cose più preziose rimaste all’aperto, nell’istante in cui tutto, del cielo, minaccia un forte temporale.
Sara lo aveva seguito senza far rumore. Lo osservava, silenziosa, appoggiata alla porta, vestita di una semplice maglia bianca e un paio di slip, i piedi nudi sul pavimento chiaro di marmo. La bocca rossa intenta a fumare una sigaretta stretta tra le dita chiare e sottili di una mano tremante. Gli occhi su di lui, ma in un certo senso assenti. L’assordante rimbombo del proprio cuore che scandiva ogni attimo nella testa, annientando ogni suono.
- Dobbiamo salutarci. Questa volta dico davvero.
Sara rise. Una risata isterica che per un istante risuonò quasi come un pianto, un lamento. Ma Ivan non poteva più permettersi di farci caso. Finì di cercare le sue cose nel caos di oggetti della vita di Sara che quella notte sembravano pronti a riversarsi su quello stesso tavolo, quasi fossero tutti in attesa di passare al setaccio, uno ad uno, a ripercorrere momenti passati insieme, istanti, ricordi, racconti. Tutto condensato in pochi rapidi minuti di controllo e ricerca, per giungere infine a scegliere che cosa portare a casa, e cosa lasciare.
- Facciamo l’amore.
- No, devo andare.
- Vieni qui…
Gli si avvicinò, e in quel preciso momento sembrò riprendere vita. Buttò i suoi enormi occhi blu oceano nelle scure profondità di quelle di Ivan, che non fu così abile ad evitare l’attacco. E ne fu invaso. Senza altri tentativi di ribellione, si lasciò andare alla danza di lei lungo il suo corpo. Lo corteggiava, lo desiderava. Piangeva, e sorridendo gli toglieva la giacca ancora una volta, sbottonava la camicia e i pantaloni, continuando a fissarlo negli occhi. Mentre gli si inginocchiava davanti, nella mente di Ivan tornò per un’istante l’immagine di Sara di tanti anni fa. La sua freschezza, le gonne corte e le collane. La voglia di fare sempre tardi insieme e le risate senza fine. La dolcezza e la vitalità, i colori, le canzoni, le notti a ballare. Il vino buono. L’amore a perdifiato, il sesso senza noia né finzione. Che ne era stato di quella creatura così viva? Chi c’era ora lì, nella stessa stanza, chinata per terra intenta a dedicarsi a lui? Chi era quel corpo assente? Non poteva sostenere lo sguardo sullo squallore delle loro vite, condensato in quell’immagine che gli si presentava proprio sotto il naso. Non poteva sopportare di continuare a specchiarsi nel pallore sbiadito di Sara, nella miseria della sua essenza consunta dal tempo e dalla noia.
Così la afferrò per le spalle e la fece alzare. La spinse con forza contro il muro, tenendo la schiena per sé. La fece chinare con poco garbo, le abbasso le mutande e le fu dentro, senza chiederle permesso. Questa volta, come tutte le altre. Ma con rabbia, e ferocia, nel tentativo di annientare l’ultimo barlume di speranza rimasta, cancellando in una manciata di minuti l’immagine della Sara di un tempo, separando per sempre il presente dai ricordi.

Piangeva, Sara. Le lacrime correvano calde lungo il viso, indugiando un attimo sulle labbra prima di toccarle il collo e scivolare a terra. Acqua salata che le ricordava il mare. Piangeva e non parlava. Inerme, immobile, lo lasciava fare. Questa volta, come tutte le altre. Piccola onda in balia della corrente. Piangeva Sara, e annegava. Occhi blu oceano a fissare il pavimento, in attesa del ritorno del vento del nord.


sabato 16 maggio 2015

CROCI

Vieni, guerriero,
e dimora nella mia Chiesa.
Dismetti la corazza che da tempo
immemore
ti racchiude.
Accogli con fiducia il vuoto
che ti si para davanti,
sconfinate lande
disseminate di solitudine.
Dimora nella mia Chiesa
e vi troverai caldo rifugio.
Afferra saldo la tua spada
attraversando l'oscurità della grotta.
Immergendoti nelle acque, addentrati 
nelle profondità
per berne alla fonte.
Scendi nelle viscere
del più buio dei Mondi
accogliendo
la rivelazione del Mistero.


lunedì 4 maggio 2015

ATLANTE DELLE NUVOLE


Abbracciami.

Ci avviciniamo modificando la materia circostante. Due corpi in attrazione, generatori di nuove dimensioni spazio-temporali. Tutto è così perfettamente fuori dall’ordinario quando colto nel profondo. E la sua natura mutevole, al ritmo della mia discesa nelle profondità della conoscenza.

In assenza delle stelle, ho scrutato il cielo cercandole così a lungo da tesserne un desiderio.
Vivo l’attimo immanente, nel fluire di incontri passati, presenti e futuri. Colgo il tempo circolare. Mi meraviglio dinnanzi ad ogni Mistero rivelato, ogni connessione stabilita, ogni perla ritrovata. Ogni voce chiamata che risponde. Ogni stella che compare.

E nell’incontro con la meraviglia, incontro Me Stessa.