domenica 20 dicembre 2015

ACQUARI

Ti sento mancare nella vastità dell'oceano in cui riposo. Mi ritrovo ad esplorarne i tranquilli e silenziosi fondali, abitando ogni anfratto, ogni grotta, espandendomi a macchia d'olio, occupando ogni spazio.

I pochi spiragli di luce che sanno penetrare la possente coltre d'acqua e giungere fino a qui, proiettano a raggiera immagini del mondo superiore, ricordi sbiaditi e ricuciti insieme per tenere insieme le fila di un discorso, quel tanto che basta a poter rintracciare le vaghe sembianze di un senso. 

Intono un canto di sirene e ti scopro abitarmi dentro. Occupi inconsapevole ogni infinitesimo spazio, il movimento degli atomi mi parla di te. 

Non c'è danza ad accompagnare lo scorrere dei giorni. Si alternano le ore, il sole e la luna compiono il proprio corso nel cielo. Ma nulla giunge nitido fino a qui. Visioni su visioni si mescolano, scambiano e condensano, in un'orgia silenziosa di immagini. Il ricordo e il sogno fondono i loro reciproci confini.

Vorrei riposare, ma di tanto in tanto un elemento riaffiora catturando la mia attenzione. Un colore, un profumo, un fotogramma. Ed è un po' come destarsi.

Mi chiedo se non sia meglio continuare a dormire. Pesci morti galleggianti in un acquario.


(dipinto di Salvatore Morgante, "Viaggio al tramonto")

lunedì 14 dicembre 2015

CAVIE

Ci si avvicina al lume di un freddo e asettico neon. Nei miei sogni si rincorrono immagini di scenari post apocalittici, resti di detonazioni colossali. L'unica cosa che scorre ancora viva è il sangue. Rimbomba nelle tempie così forte da far quasi male mantenendo inalterato uno stato di stordimento del tutto simile a postumi alcolici. Ronzii infiniti che si inseguono nella testa. 

Ci si avvicina ispezionando, sezionando, staccandoci lembi di pelle per scoprire cosa c'è sotto. Pura sperimentazione. Badiamo solo a rimettere tutto in ordine e gettare nel fuoco i resti. Facciamo attenzione a non scambiarci frammenti. 

Tieniti quel che ti appartiene. 
Il mio cuore non è qui.




sabato 28 novembre 2015

FAKE

Visioni.
Immagini in sequenza scoordinata, dimentiche di ogni già nota forma di logica. Un loop inesorabile si rincorre nella testa, inseguendo i pensieri, sbiadendo il sonno e amalgamandosi con esso. Le luci sono a tratti accecanti, tanto da poter pensare di non aver mai visto così bene prima. Eppure il messaggio appare distorto, corroso dal falso luccichio della bramosia. Una miriade di frammenti del medesimo specchio giace sparsa sul terreno, riflettendo la luce intermittente dell'insegna al neon del tuo baracchino ricolmo di amore in svendita. Richiami a caro prezzo per stupide allodole.
Mi aggiro tra le paludi metropolitane incontrando il mio pallido riflesso sulla superficie sudicia delle pozzanghere. Il tanfo della paura si mischia al mio buono profumo speziato da quattro soldi. 
Vorrei un'esplosione colossale, anelo una silenziosa denotazione che faccia brillare ogni cosa. Anche te.

Magritte, Il falso specchio. 1928.

mercoledì 18 novembre 2015

GRANDI ONDE BLU

Annaspi.
Ti agiti nella paura di annegare. Il mare intorno è profondo. Scuro. Agitato. Le onde sanno leggerti dentro, specchio che danza il tuo terrore. E' tutto a misura. Riesci a vedere?

Penetra acqua da ogni tua cicatrice. Diventi pesante. Sempre più pesante. Il mare presto ti inghiottirà. Riesci a capire?
Vorrei appoggiare di nuovo le labbra su quei segni nella pelle, succhiare per estrarne il veleno. Ma la lotta è tua. Soltanto tua. E non mi è concesso presenziare.

Abito i miei lidi, quelle terre su cui un giorno scegliesti di approdare. Percorro a piedi nudi le stanze vuote che hai abitato anche tu, entrando come un vortice splendente. Ora già manchi, e mi chiedo se sei mai esistito. Unica traccia del tuo passaggio, il tuo profumo che si mescola con il mio. Riesci a sentire?


Ssshhh. Non fare rumore. Si sveglierà.




giovedì 8 ottobre 2015

DEJA VU MANCATI

agosto 2013

"Accadde nel momento in cui voltai lo sguardo in un'altra direzione, per sottrarre l'immagine dei miei occhi appannati e già rossi alla tua vista, mentre procedevi lento, quasi a voler prolungare quell'attimo per l'eternità - momenti densi di un silenzio assordante, nel frastuono dell'aeroporto. Fu in quel piccolo frangente, che li notai. Smisi di pensare al tuo andare via, catturata dalla loro immagine. La lentezza dei tuoi passi risuonò d'improvviso così rapida da perdersi tra i gesti concitati e i saluti frettolosi del resto dei passeggeri, in coda verso i controlli di sicurezza. Ma non sentivo più nulla. Quel loro abbraccio silenzioso congelò ogni cosa. Non mi mossi. Non potevo - o non volevo? - perdere il contatto con il volto di lui: un mare calmo, al tramonto, la quiete dipinta sul viso scuro di un ragazzo straniero, dai molti capelli ricci. Gli occhi chiusi, e la netta percezione di un lieve sorriso appena accennato sulle labbra. Un abbraccio silenzioso e immobile, fermo e saldo, quello tra lui e la ragazza dai capelli biondi raccolti in in una morbida coda, di cui non potevo conoscere il viso. 
Cercai di tornare a guardarti, e ti trovai avanzato lungo la coda a serpente, muovendoti solo tra le inutili curve, per aggiungerti agli ultimi passeggeri, in fondo alla coda.
..."

(incompiuto)

martedì 6 ottobre 2015

I CANTI DEL RITORNO

4 settembre 2015

Galleggio leggera sulla superficie delle acque. Ondeggio cullata dal blu del mare. Riposo, protetta da rive e rocce antiche. E’ un tempo già vissuto e che più non torna, quello che rivedo. Eco di epoche lontane.
Un caldo sole risplende alto, spargendo accecanti raggi di luce bianca in ogni dove. Percepisco il cerchio di fuoco da dietro le palpebre. La salsedine sulla pelle brucia.
Accanto a me, un antico fratello.

Sei tu.
Incrocio il tuo sguardo ed intravedo la nostra fine. Percepisco l’angoscia ed il terrore. I tuoi occhi, presagio di devastazione.

Presto, il mare ci inghiottirà.
Non resterà nulla oltre alle nostre carcasse fluttuanti.
Bambole di pezza cadute in un pozzo.



- Chi sei?
- Il Fuoco dentro di te.

domenica 20 settembre 2015

MAKE ME BEAUTIFUL

Davanti alla macchina fotografica, chiedo di perdermi nell’obiettivo. Non sono più nessuno, non voglio essere nessuno. Per poter essere chiunque.
La mia immagine catturata rimbalza sulle lenti, ed il prodotto quando è buono sa riprodurre minuscoli squarci di Verità. Un sospiro. Un battere di ciglia. Persino un pensiero.

Non sono nessuno, obbedisco, mi lascio guidare.
Mi lascio guardare e immortalare, disarmata.

Non sono nessuno. Solo me stessa, in questo istante e in questo luogo. E posso scoprirmi bella e viva, inchiodata ad un istante eterno. Immobile. Reale.
Senza pericoli. Senza paure. 
Nella mia Vera Essenza. 


ph. Stefano Sala  - summer 2010 

giovedì 17 settembre 2015

TRICK OR TREAT

Ti ho sognato così tante volte da aver dimenticato la trama di ogni singolo sogno.
Ricordo i primi, quelli sì. Ogni frammento, ogni minuscolo dettaglio apparentemente privo di significato, eppure così denso da accecare.

Entri, ti insinui nella visione e prendi spazio, con disarmante naturalezza. E’ dolce e terribile insieme, ogni volta.


Benedico e maledico il giorno in cui ti ho incontrato.

sabato 5 settembre 2015

MIRROR

- Se volessi incontrarti un giorno, come devo fare?
- Dovrai scalare le nude montagne che nascondono l'alta torre d'avorio del mio impenetrabile orgoglio. Armarti di coraggio e prepararti a danzare con il fuoco. Essere disposto a cadere e sporcarti le mani, vedere i tuoi piedi sanguinare. Sentirti mancare la terra sotto i piedi, ad ogni balzo e guizzo del cuore.

O, più semplicemente, bussare alla mia porta e mostrarti così come sei.
Nella fiducia del disarmo più totale.


martedì 1 settembre 2015

TWIN FLAMES

Il mio cuore sanguina, mentre palpita e sorride. Mi lascio accarezzare dall’inquietudine che aleggia, e a tratti sotterra ogni altro pensiero.

Non c’è nulla qui intorno. Solo sabbia a perdita d’occhio. Polvere e macerie. Apparente immobilità.

Eppure, nel più vasto dei deserti, senza preavviso la Vita si palesa in tutta la sua grandezza, gonfia di ardente e accecante splendore. Senza bussare irrompe, generando luce in un’esplosione silenziosa. Sottili fili rossi si diramano tutto intorno, costellati da piccole e calde luci. Un reticolo venoso pulsante, ad indicare la Via.

Un fuoco enorme arde dentro e fuori di me.
Forti folate di vento raggiungono le fiamme, di tanto in tanto. Resto in bilico, tra la paura dello spegnimento e il terrore di divampare.


venerdì 14 agosto 2015

MENTRE FUORI PIOVE

29 maggio 2010

Mi sveglio. E' molto presto, inizia ad albeggiare. Dalla finestra aperta entra la luce fioca di un pallido sole. Ancora non sa scaldare l'aria che penetra, pungente e fresca, nella stanza. Mi avvolge, assieme al tenero profumo dell'erba bagnata. Piove. Abbandono le lenzuola bianche che portano ancora addosso l'odore di questa notte, l'odore di noi. Ne è impregnata la camera, il mio volto, le mie mani. Lascio che quel debole vento se lo porti via, lentamente. Me ne separo piano. Scendo dal letto. Spalanco la finestra che da sul giardino. La pioggia è leggera, attutisce i colori dell'erba e dei fiori. Tutto mi sembra ovattato, questa mattina. Sono scalza. Infilo una camicia. Esco, resto sotto la veranda a guardare l'acqua che scende, sbiadendo ogni cosa. Fa quasi freddo. Vorrei avere tra le mano una tazza di tè caldo. Mi stringo nelle spalle. Non penso a nulla in particolare. Resto così per qualche minuto, immobile davanti al mio giardino. Dovrei sistemare un paio di aiuole. Poi, sul tavolo, trovo il pacchetto di sigarette e l'accendino che hai dimenticato qui. Decido di accenderne una. Inspiro profondamente, immagino, sento il fumo che percorre la mia bocca, la gola, giù fino ai polmoni. Quindi nel sangue, al cuore e al cervello. Ad ogni tiro avvicino le mie dita al viso, ed insieme al fumo respiro anche l'odore che hai lasciato sulla mia pelle. Fumo con gusto, ad occhi chiusi. Ti rivedo nel buio della mia stanza, nel mio letto. Ti sento ancora tra le mie gambe. E' una sensazione forte, come quella della pioggia sul viso. Penso che vorrei restare così, immobile, per sempre. Aspettando il momento in cui tornerai, entrerai da quella porta e mi riempirai di te e del tuo odore, ancora, e ancora, e ancora. E ancora. Per sempre. Mentre fuori piove.

lunedì 20 luglio 2015

COME IN CIELO COSI' IN TERRA


"My heart's in the Highlands a-chasing the deer
A-chasing the wild deer, and following the roe 
My heart's in the Highlands, wherever I go."

Affondo nella terra per unirmi al mio sentire. Scopro un terreno morbido e fertile, l'erba tenera del mattino mi solletica i piedi. 
Non c'è paura nel ritrovare le radici. Stabilizzo l'equilibrio, tendendo all'armonia. E incontro casa, dentro me stessa. 



Posso tendere al Vento. 

Nella più sfrenata libertà di essere te stesso.

sabato 27 giugno 2015

"SENTO IL TUO DISORDINE"

 - Chi sei tu? -

"Sento il tuo disordine
e lo comparo al mio.
C’è somiglianza. C’è
lo stesso slabbro di ferite identiche.
C’è tutta la voglia
di un passo largo in una terra
sgombra che non troviamo.
Sento il tuo respiro schiacciato
lo sento somigliante
ti sento piano morire
come me che non controllo
l’accensione del sangue.
Anch’io voglio una libertà che mi
sbandieri, una falcata
perfetta, uno stacco d’uccello
dal suo ramo, quando si butta
improvviso e poi plana."
di Mariangela Gualtieri


ph. Stefano Sala



lunedì 15 giugno 2015

IMMANENTE

Tempo.

Curioso cogliere il soggettivo sguardo nell'apprezzare la velocità dello scorrere degli istanti. Anni come attimi, e sospiri apparentemente infiniti. Congelati. Sguardi terminati, accaduti in un tempo che più non torna. I nostri occhi che non si incontrano nello spazio presente.

Eppure.

Eppure l'incontro permane. Non è già ricordo, non ancora aspettativa. Una vibrazione sopravvive all'incedere del tempo. Non sbiadisce. Cresce e si innalza, permeando ogni singola frazione di istante, esistendo in essa.
Non ci incrociamo. Abitiamo lo spazio vuoto della creazione.
Scintille e fili modificano lo spazio circostante.

...
Connessioni.

mercoledì 20 maggio 2015

IMPROBABILI STRALCI DI UN QUASI POST-MODERNO MALINCONICO DECADENTISMO MILANESE

8 giugno 2011 


Me ne frego della pioggia che cade in un Giugno che sembra non aver la minima intenzione di cedere il passo all’estate. Penso al sole che ustiona la testa e brucia negli occhi, penso alle infradito, ai cinesi con gli ombrelli. All’asfalto in liquefazione. Al ghiacciolo, al Cornetto Soft. Niente. Tutto intorno, solo una magra parvenza di autunno che circonda a perdita d’occhio. Dunque cammino, seguendo il vostro passo svelto, cercando di non perdervi, di non perdermi. Somiglio ad un pulcino bagnato in un temporale di marzo.


Fuori dal locale i bambini giocano con le bolle di sapone. Padri e madri non si sottraggono al divertimento. Li guardiamo attraverso i nostri bicchieri un po’ pieni e un po’ vuoti, e sai che c’è? Tutti quanti hanno voglia di giocare.

Da Peppuccio capisci che Shakespeare è approdato un po’ ovunque. E mette d’accordo tutti i pareri. Sarà merito del jazz, di John Coltrane che soffia nel suo sax dietro di noi. Saranno i leccalecca regalati, le caramelle gommose, gli ombrelli sperduti.
Balliamo. E la liquirizia scivola via che è una meraviglia, baby.

Amiamo le cose belle.

E dei canoni comuni ce ne fottiamo un po’.

martedì 19 maggio 2015

QUESTA VOLTA, COME TUTTE LE ALTRE

listening to  Low, Lullaby

- Non posso restare, Sara. Lo sai.
- Ancora un po’, ti prego. Stai con me ancora per un po’.
Lo fissava con occhi rossi di pianto, il mascara colato già lungo le guance, fin sul collo. Addosso, la solita aria stanca dell’ennesimo addio, mista a quella malinconia che anni fa Ivan avrebbe giurato sembrava racchiuderla in una bolla di effimera ed affascinante bellezza. Quasi appartenesse ad un altro tempo, ad altri luoghi. Un sentimento che la abitava come il sangue che lento le scorreva nelle vene, e che da qualche tempo non lo incuriosiva più.
Abilmente schivò il suo sguardo languido, si alzò dal divano e si diresse verso la cucina per recuperare la giacca e abbandonare quella casa. Forse per sempre, come ogni volta le diceva. Forse solo fino al prossimo canto di sirene.
Con rapidi gesti raccolse le proprie cose dal tavolo, con addosso la stessa paura ed insieme la stessa smania di finire presto di quando ci si scaraventa fuori, in giardino o sul balcone, nel tentativo di portare in salvo le cose più preziose rimaste all’aperto, nell’istante in cui tutto, del cielo, minaccia un forte temporale.
Sara lo aveva seguito senza far rumore. Lo osservava, silenziosa, appoggiata alla porta, vestita di una semplice maglia bianca e un paio di slip, i piedi nudi sul pavimento chiaro di marmo. La bocca rossa intenta a fumare una sigaretta stretta tra le dita chiare e sottili di una mano tremante. Gli occhi su di lui, ma in un certo senso assenti. L’assordante rimbombo del proprio cuore che scandiva ogni attimo nella testa, annientando ogni suono.
- Dobbiamo salutarci. Questa volta dico davvero.
Sara rise. Una risata isterica che per un istante risuonò quasi come un pianto, un lamento. Ma Ivan non poteva più permettersi di farci caso. Finì di cercare le sue cose nel caos di oggetti della vita di Sara che quella notte sembravano pronti a riversarsi su quello stesso tavolo, quasi fossero tutti in attesa di passare al setaccio, uno ad uno, a ripercorrere momenti passati insieme, istanti, ricordi, racconti. Tutto condensato in pochi rapidi minuti di controllo e ricerca, per giungere infine a scegliere che cosa portare a casa, e cosa lasciare.
- Facciamo l’amore.
- No, devo andare.
- Vieni qui…
Gli si avvicinò, e in quel preciso momento sembrò riprendere vita. Buttò i suoi enormi occhi blu oceano nelle scure profondità di quelle di Ivan, che non fu così abile ad evitare l’attacco. E ne fu invaso. Senza altri tentativi di ribellione, si lasciò andare alla danza di lei lungo il suo corpo. Lo corteggiava, lo desiderava. Piangeva, e sorridendo gli toglieva la giacca ancora una volta, sbottonava la camicia e i pantaloni, continuando a fissarlo negli occhi. Mentre gli si inginocchiava davanti, nella mente di Ivan tornò per un’istante l’immagine di Sara di tanti anni fa. La sua freschezza, le gonne corte e le collane. La voglia di fare sempre tardi insieme e le risate senza fine. La dolcezza e la vitalità, i colori, le canzoni, le notti a ballare. Il vino buono. L’amore a perdifiato, il sesso senza noia né finzione. Che ne era stato di quella creatura così viva? Chi c’era ora lì, nella stessa stanza, chinata per terra intenta a dedicarsi a lui? Chi era quel corpo assente? Non poteva sostenere lo sguardo sullo squallore delle loro vite, condensato in quell’immagine che gli si presentava proprio sotto il naso. Non poteva sopportare di continuare a specchiarsi nel pallore sbiadito di Sara, nella miseria della sua essenza consunta dal tempo e dalla noia.
Così la afferrò per le spalle e la fece alzare. La spinse con forza contro il muro, tenendo la schiena per sé. La fece chinare con poco garbo, le abbasso le mutande e le fu dentro, senza chiederle permesso. Questa volta, come tutte le altre. Ma con rabbia, e ferocia, nel tentativo di annientare l’ultimo barlume di speranza rimasta, cancellando in una manciata di minuti l’immagine della Sara di un tempo, separando per sempre il presente dai ricordi.

Piangeva, Sara. Le lacrime correvano calde lungo il viso, indugiando un attimo sulle labbra prima di toccarle il collo e scivolare a terra. Acqua salata che le ricordava il mare. Piangeva e non parlava. Inerme, immobile, lo lasciava fare. Questa volta, come tutte le altre. Piccola onda in balia della corrente. Piangeva Sara, e annegava. Occhi blu oceano a fissare il pavimento, in attesa del ritorno del vento del nord.