lunedì 3 giugno 2013

WHEN MERMAIDS SING


(17 luglio 2011)

Le capitò di voltarsi ascoltando la brezza che le soffiava tra i capelli. Fu così che, sorridendo, prese ad osservare il silenzio che sovrastava lo spettacolo di quell’immenso tramonto che si specchiava rosso sulla placida superficie del mare, delineando perfettamente la linea di un non troppo lontano orizzonte. Nessun pensiero in particolare le affollava la mente. Una lieve malinconia prese a cullarla al ritmo di quelle piccole onde, e lei, senza opporre resistenza, la lasciò fare. Incapace di staccare gli occhi da tanto spettacolo, si fermò interrompendo la consueta passeggiata sul lungomare. Antonio adorava quelle ore della giornata, probabilmente come riflesso della calma che Maria, senza saperlo, era in grado di infondergli. Del resto, anche lei aveva sempre amato i tramonti.
Decise di concedersi qualche minuto di riposo, approfittando del sonno in cui Antonio era sprofondato. Spinse la carrozzina ancora per qualche metro e si sedette sulla prima panchina libera. Tese le gambe e sbadigliò a lungo, stropicciandosi gli occhi nel tentativo di scacciare la stanchezza. L’assenza di Claudio rendeva tutto più difficile, soprattutto di notte. “Me la caverò, grazie”, ripeteva con un sorriso sincero a chiunque si proponesse di aiutarla. Ma Maria si era subito resa conto di come fosse spietatamente impossibile tenere Antonio al riparo dai propri malumori, dalle proprie paure, incertezze, dalle crisi che l’agitavano e dalle domande che la svuotavano di ogni forza. Per questo, Antonio, di notte, non faceva che piangere. Ininterrottamente. Il momento della buonanotte si riduceva ogni sera ad un triste presagio di disgrazie, nevrosi ed insonnie comuni che non avrebbero giovato a nessuno dei due. Nemmeno i momenti della poppata sembravano più infondergli sicurezza. Solo quelle lunghe e silenziose passeggiate davanti ad un placido mare tinto di rosso sembravano ripagare gli sforzi e i pianti.
Claudio se ne era andato senza preavviso, in un giorno azzurro e pieno di sole, a meno di un mese dalla nascita di Antonio. Insieme ai vestiti, ai libri e alla collezione di pipe, si era portato via una valigia di sogni non ancora espressi e futuri ancora da immaginare. Dietro di sé, aveva lasciato solo l’odore di tacite promesse infrante e l’immagine sfocata di un prodotto fallato. Avrebbe rischiato di schiacciare Maria tra il sentimento della resa e lo smarrimento per la mancanza di un fine, uno scopo, se non fosse stato per Antonio. Minuscola ed onnipotente creatura in grado di sostenere e muovere l’universo, o quanto meno ciò che rimaneva di Maria.
Viveva dei momenti, Maria, in preda alla netta sensazione di non poter far altro che trascinarsi, di ora in ora, di giorno in giorno, senza nemmeno più il diritto o il dovere di poter credere o quanto meno sperare in una folata di vento in grado di cambiare non una, ma cento pagine, passando direttamente al capitolo successivo. Non vedeva via d’uscita. Solo una lunga strada impolverata che nessuno percorreva più. Di tanto in tanto le capitava ancora di svegliarsi nel cuore della notte e voltarsi nel letto alla ricerca di Claudio. Ma le uniche immagini a disposizione erano la fedele riproduzione a colori dei suoi incubi peggiori.

In silenzio, davanti a quello stesso tramonto di sempre, a volte Maria piangeva, guardando attraverso il volto disteso di suo figlio la possibilità di un futuro sereno.

E’ che, nonostante tutto, lo stava ancora aspettando.