martedì 19 marzo 2013

LANDE

(27 aprile 2010)

I caldi raggi del sole del pomeriggio penetrano senza pietà le mie lunghe vesti di lino. La mia pelle è arroventata, mi sembra di non avere più nemmeno una goccia di sangue che scorre nelle vene. Sono stanca, la mia testa si è fatta pesante. 

Vorrei riposare, ma mi faccio forza. La strada da percorrere è ancora molta. Tutto intorno è arido, non c'è segno di vita, crudele gioco della natura.
Il colore della mia pelle si mescola con il rosso della terra, della polvere, che come un essere strisciante si arrampica e risale il mio corpo dalle caviglie, su per i polpacci, le cosce, avvolgendomi in una spira mortale. Se mi accasciassi, finirei per diventare parte integrante di questo paesaggio.


Mentre cammino, di tanto in tanto mi capita di sollevare lo sguardo dai miei passi e di mirare l'orizzonte. Ad un tratto, verso ovest, il suo contorno distorto dalla calura si interrompe, lasciando spazio all’immagine di un qualcosa di poco familiare. E’ grande, sembra uno strano camion. Non distinguo le ruote, né l’abitacolo. Mi guardo intorno, ma niente. Non c’è traccia di nessun altro nel raggio di chilometri. Incuriosita, decido di allontanarmi dal mio percorso quanto basta per poter vedere meglio quella figura. Quando gli sono abbastanza vicina, mi rendo conto che ciò a cui mi sto avvicinando è un carro da guerra. Solo, in mezzo al nulla. Appoggiato ai cingoli scorgo una figura umana. Sembra guardare nel vuoto, nella mia direzione.

domenica 10 marzo 2013

RIPRENDERE BERLINO

Sei un cancro. Cercando di farti largo tra le cellule, ti insinui e prendi spazio, scivolando tra le perdite. Ti acquatti e stai, dove non fa male. 
Cresci, senza rumore. Lentamente porti a compimento la tua follia, intessendo una fitta e solida ragnatela. Non mi accorgo, ti ho dimenticato. Pallida cicatrice insensibile.

Mi è sempre piaciuto giocare a far rimbalzare i sassi sull'acqua.
Ho dimenticato di raccoglierli e si sono accumulati sul fondale.