domenica 17 febbraio 2013

PERSI

Ti guardo sparire tra la folla, oltre il vetro, al di là dei controlli. Alzo la mano e ti saluto, tu mi rispondi. Non sorridi. Mi volto e ti lascio andare via, come sempre.

Mi chiedo cosa stiamo facendo. Che cosa stiamo costruendo. Te ne vai e mi svuoti, e neanche la prospettiva di un prossimo incontro non troppo lontano è in grado di accendermi.

sabato 9 febbraio 2013

WALKING ON BY


(11 maggio 2011)

- Non ti rivedrò mai più.
Era nata come una domanda nella mente di Irene quella che, solo una manciata di secondi più tardi, risuonò in tutta la stazione come una chiara e lucida previsione. Giulio estrasse dal pacchetto le ultime due Camel. Nel farlo non riuscì a nascondere un sorriso.
- Sai che non è così.
Le porse piano il piccolo Bic nero, accendendolo davanti al suo naso. Come sempre. Lei, dopo che ebbe fatto, lo ringraziò. Come sempre.
- Spostiamoci un po’.
Presero a percorrere il binario 28 costeggiando il treno che la avrebbe portata in aeroporto. Giulio aveva deciso di non accompagnarla. Le profonde rughe sotto gli occhi fornivano una tangibile prova del livello di stanchezza accumulato durante una pesante giornata lavorativa. Irene pensò che fosse meglio così.
- Le stazioni e gli aeroporti diventano posti tristi quando qualcuno se ne va.
Lo ascoltava, ma senza guardarlo. Poco prima, davanti ad un caffè lui le aveva parlato di come la sua vita sarebbe cambiata, irrimediabilmente cambiata una volta partito per l’America. Come in quel momento, anche ora gli occhi di Irene stavano gonfiandosi, riempiendosi di minacciose lacrime pronte a sgorgare al primo cenno di cedimento. Prese dunque a concentrarsi sulla Camel stretta tra l’indice e il medio della mano sinistra. Il suo accorciarsi le ricordò per un istante la miccia di una bomba, un diabolico ed inarrestabile conto alla rovescia che la avrebbe fatta salire su quel treno carico di rimpianti e parole non dette, forse nemmeno a malapena sussurrate. Come lo scoccare della mezzanotte, dopo che ebbe spento il mozzicone lo speaker annunciò la partenza del suo treno.
- Vado. Non voglio perderlo.
- Ciao Irene.
Si abbracciarono. Lo fecero per due volte. Poi, lo sguardo di lei cadde sulle labbra di Giulio. Desiderò baciarlo. Ma per un terzo abbraccio non v’era più tempo. Non c’era spazio per niente. Così decise semplicemente di abbandonare la piattaforma e di prendere posto sul vagone più vicino. Lo fece di fretta, senza voltarsi. Entrò in una cabina e si sistemò accanto al finestrino. Distrattamente guardò fuori, e lo trovò ancora lì, ad aspettarla, a guardarla.
- Non piangere.
- Non lo farò.
- Non ti sento e non ti vedo nemmeno.
- Non importa.
Giulio rimase immobile fissando il punto che avrebbe dovuto corrispondere al volto di Irene. Temeva potesse scoppiare in lacrime. A gesti provò a farla ridere. Lei lo accontentò. Ma lui non poteva che distinguerne uno sfocato contorno.
Il treno non accennava a partire. Irene avrebbe voluto tornare alla porta, parlargli ancora, racimolare qualche miserabile minuto a quell’esistenza che si stava portando via tutto quanto, prima ancora che qualcosa, qualsiasi cosa, fosse mai realmente accaduta. Invece restò nella sua cabina, attendendo di udire lo stridio dei vagoni sui binari.
Poi, le venne in mente una scena vista in un qualche film di tanti anni fa. Allora, quasi per gioco, appoggiò il palmo della mano al finestrino. Giulio sorrise ed avvicinò la propria, facendole combaciare. Solo in quel momento Irene si rese conto dello spessore del vetro, a separarli. Rimasero così per un’irrisoria quantità di piccoli istanti, buoni neanche a rendersi conto di quanta bellezza si celava dietro a quel gesto.

Forse se ne accorgeranno più tardi, quando saranno ognuno per sé. Il treno, ora, ha già fischiato, ed ha iniziato la sua corsa. E mentre lentamente macina metri di binari, ormai Giulio non è che un puntino lontano che si perde nell’opacità dello sguardo bagnato di Irene. Un puntino che cammina nella direzione opposta alla stazione, lungo gli stessi binari di quel treno.