venerdì 4 ottobre 2013

CAOS CALMO

Riempio le giornate nel tentativo di non pensare.
E ti scopro mancare.

Sei nei silenzi. Sei negli istanti di quiete tra la frenesia dell'incessante brulicare di cose da fare, lettere a cui rispondere, impegni da non dimenticare. Scivoli tra i pensieri, ti insinui tra gli ingranaggi e fai vacillare il più nitido dei percorsi, il più delineato degli obiettivi da perseguire.

Vorrei espandermi a macchia d'olio ed inghiottire tutto, far scomparire i giorni, le notti, le albe, i risvegli. Fondere tutto in un pantano di perfetto nonsense, in attesa del nulla. O forse solo di te.

Finché non trovo il coraggio di fermarmi davvero. E scopro che è il vuoto ad inghiottirmi. E che non c'è meta, lontano da te.

E' SEMPRE BELLO PARLARE CON TE


(3 aprile 2011)

L’assenza di senso sprigionata dai tuoi silenzi colpisce forte come una sferzata di vento in pieno viso, in pieno inverno. L’abitudine mi conduce a prepararmi bene prima di uscire di casa. Così indosso il cappotto più pesante che possiedo e quella sciarpa di lana blu e morbida che mi regalasti proprio tu. Credo fosse qualche Natale fa.
Ogni volta che provo ad accendere il camino trovo la legna troppo umida. Ne esce solo un gran fumo nero che fa un po’ male agli occhi.
Se solo tu non fossi astemia potremmo sederci comodamente su questo divano e sorseggiare un po’ di quell’ottimo vino rosso comprato per non ricordo più quale occasione. Potremmo anche abbracciarci bevendo da quei calici leggeri che ci ha regalato tua madre. Credo fosse qualche Natale fa.
Vorrei dipingere le pareti del salotto. Magari non tutte. Ho pensato che un po’ di colore contribuirebbe ad alleviare il senso di distanza e a scaldare l’aria. Temo la troveresti un’idea ridicola.
- Non dire stronzate, G.
E’ sempre bello parlare con te, amore.

lunedì 3 giugno 2013

WHEN MERMAIDS SING


(17 luglio 2011)

Le capitò di voltarsi ascoltando la brezza che le soffiava tra i capelli. Fu così che, sorridendo, prese ad osservare il silenzio che sovrastava lo spettacolo di quell’immenso tramonto che si specchiava rosso sulla placida superficie del mare, delineando perfettamente la linea di un non troppo lontano orizzonte. Nessun pensiero in particolare le affollava la mente. Una lieve malinconia prese a cullarla al ritmo di quelle piccole onde, e lei, senza opporre resistenza, la lasciò fare. Incapace di staccare gli occhi da tanto spettacolo, si fermò interrompendo la consueta passeggiata sul lungomare. Antonio adorava quelle ore della giornata, probabilmente come riflesso della calma che Maria, senza saperlo, era in grado di infondergli. Del resto, anche lei aveva sempre amato i tramonti.
Decise di concedersi qualche minuto di riposo, approfittando del sonno in cui Antonio era sprofondato. Spinse la carrozzina ancora per qualche metro e si sedette sulla prima panchina libera. Tese le gambe e sbadigliò a lungo, stropicciandosi gli occhi nel tentativo di scacciare la stanchezza. L’assenza di Claudio rendeva tutto più difficile, soprattutto di notte. “Me la caverò, grazie”, ripeteva con un sorriso sincero a chiunque si proponesse di aiutarla. Ma Maria si era subito resa conto di come fosse spietatamente impossibile tenere Antonio al riparo dai propri malumori, dalle proprie paure, incertezze, dalle crisi che l’agitavano e dalle domande che la svuotavano di ogni forza. Per questo, Antonio, di notte, non faceva che piangere. Ininterrottamente. Il momento della buonanotte si riduceva ogni sera ad un triste presagio di disgrazie, nevrosi ed insonnie comuni che non avrebbero giovato a nessuno dei due. Nemmeno i momenti della poppata sembravano più infondergli sicurezza. Solo quelle lunghe e silenziose passeggiate davanti ad un placido mare tinto di rosso sembravano ripagare gli sforzi e i pianti.
Claudio se ne era andato senza preavviso, in un giorno azzurro e pieno di sole, a meno di un mese dalla nascita di Antonio. Insieme ai vestiti, ai libri e alla collezione di pipe, si era portato via una valigia di sogni non ancora espressi e futuri ancora da immaginare. Dietro di sé, aveva lasciato solo l’odore di tacite promesse infrante e l’immagine sfocata di un prodotto fallato. Avrebbe rischiato di schiacciare Maria tra il sentimento della resa e lo smarrimento per la mancanza di un fine, uno scopo, se non fosse stato per Antonio. Minuscola ed onnipotente creatura in grado di sostenere e muovere l’universo, o quanto meno ciò che rimaneva di Maria.
Viveva dei momenti, Maria, in preda alla netta sensazione di non poter far altro che trascinarsi, di ora in ora, di giorno in giorno, senza nemmeno più il diritto o il dovere di poter credere o quanto meno sperare in una folata di vento in grado di cambiare non una, ma cento pagine, passando direttamente al capitolo successivo. Non vedeva via d’uscita. Solo una lunga strada impolverata che nessuno percorreva più. Di tanto in tanto le capitava ancora di svegliarsi nel cuore della notte e voltarsi nel letto alla ricerca di Claudio. Ma le uniche immagini a disposizione erano la fedele riproduzione a colori dei suoi incubi peggiori.

In silenzio, davanti a quello stesso tramonto di sempre, a volte Maria piangeva, guardando attraverso il volto disteso di suo figlio la possibilità di un futuro sereno.

E’ che, nonostante tutto, lo stava ancora aspettando.

mercoledì 29 maggio 2013

RELITTI

Ad occhi chiusi, ripercorro gli oceani che un tempo abbiamo solcato insieme. Avevo dimenticato le maree. Non ricordavo più l'odore pungente della salsedine, né il secco bruciare del sole sulla pelle.

Fatico ad aprire gli occhi, ora. Tutto brucia, arido. Morto, ormai.
Quel che resta, aprendo una busta consunta dal tempo, è un vento gelido che graffia la pelle, sollevando la sabbia. 
Enormi detriti restano sul fondo, immobili. Mi aggiro sui fondali privi di acqua, alla ricerca di un vecchio messaggio dimenticato in una bottiglia.
Niente.

Torno a dormire.
Chiudo gli occhi, e non ricordo più chi sei.

martedì 28 maggio 2013

DERIVE

(10 maggio 2013)

Annaspo.
Cerco boe, piccoli punti saldi di ancoraggio. Attorno a me l'acqua è torbida e si organizza agitata in tanti mulinelli e vortici che mi spingono sotto, e lontano.
Continuo a bere, e non so più galleggiare.

J. M. W. Turner, Tempesta di neve in mare, 1840, olio su tela


lunedì 22 aprile 2013

OCEANI

dancing with Enya, Aldebaran

Sto.
Vivo, bevo, mi lascio cullare.
Piccole bolle accarezzano il mio corpo.
C'è un vento fresco che soffia sulla pelle.
Non fa male.
Non c'è paura.
Respiro.
E sto.

mercoledì 17 aprile 2013

LA REGINA DELLE FATE

listening to Meshell Ndegeoncello, Bitter


Piangi, bambina.
Raccogli i desideri e rendili liquidi. 
Fai che il respiro possa uscire libero, raccontando di casa in casa le tue preghiere.
Raccogli i capelli, intrecciali con piccoli fiori bianchi. Avrai da correre molto, seguita solo dal vento della notte.
Pulisci il tuo viso ancora stanco. Riscalda il tuo ventre.

Il mare ti aspetta, silenzioso.

venerdì 12 aprile 2013

SPECIAL NEEDS


(16 febbraio 2011)

Sei inverno. Percorro a bordo di una jeep scassata le strade terrose che si perdono nell’arsura di questa natura sconfinatamente bella e crudele, ostile, e la tua immagine si materializza appoggiandosi piano alla mia mente. Appari in contrasto con il rosso che domina ovunque. Ho il sapore di questa terra fin dentro la gola, non va via. Soffocando nel caldo torrido crea una patina su tutto ciò che mi circonda. Ma tu arrivi e ti delinei limpida. La tua pelle, che sotto i tuoi capelli neri sembra ancora più bianca, qui si espande risuonando ad eco ed esplodendo piano nell’aria come l’inizio di quella si prevede essere una nevicata colossale. Contrasti cromatici e incompatibilità termiche di una bellezza disarmante. Il senso della voglia di un paio di guanti caldi a proteggere dal gelo.
Lasciami ancora un po’ senza fiato a guardare il paesaggio che brucia mentre mi ricordo dell’inverno.

martedì 19 marzo 2013

LANDE

(27 aprile 2010)

I caldi raggi del sole del pomeriggio penetrano senza pietà le mie lunghe vesti di lino. La mia pelle è arroventata, mi sembra di non avere più nemmeno una goccia di sangue che scorre nelle vene. Sono stanca, la mia testa si è fatta pesante. 

Vorrei riposare, ma mi faccio forza. La strada da percorrere è ancora molta. Tutto intorno è arido, non c'è segno di vita, crudele gioco della natura.
Il colore della mia pelle si mescola con il rosso della terra, della polvere, che come un essere strisciante si arrampica e risale il mio corpo dalle caviglie, su per i polpacci, le cosce, avvolgendomi in una spira mortale. Se mi accasciassi, finirei per diventare parte integrante di questo paesaggio.


Mentre cammino, di tanto in tanto mi capita di sollevare lo sguardo dai miei passi e di mirare l'orizzonte. Ad un tratto, verso ovest, il suo contorno distorto dalla calura si interrompe, lasciando spazio all’immagine di un qualcosa di poco familiare. E’ grande, sembra uno strano camion. Non distinguo le ruote, né l’abitacolo. Mi guardo intorno, ma niente. Non c’è traccia di nessun altro nel raggio di chilometri. Incuriosita, decido di allontanarmi dal mio percorso quanto basta per poter vedere meglio quella figura. Quando gli sono abbastanza vicina, mi rendo conto che ciò a cui mi sto avvicinando è un carro da guerra. Solo, in mezzo al nulla. Appoggiato ai cingoli scorgo una figura umana. Sembra guardare nel vuoto, nella mia direzione.

domenica 10 marzo 2013

RIPRENDERE BERLINO

Sei un cancro. Cercando di farti largo tra le cellule, ti insinui e prendi spazio, scivolando tra le perdite. Ti acquatti e stai, dove non fa male. 
Cresci, senza rumore. Lentamente porti a compimento la tua follia, intessendo una fitta e solida ragnatela. Non mi accorgo, ti ho dimenticato. Pallida cicatrice insensibile.

Mi è sempre piaciuto giocare a far rimbalzare i sassi sull'acqua.
Ho dimenticato di raccoglierli e si sono accumulati sul fondale.

domenica 17 febbraio 2013

PERSI

Ti guardo sparire tra la folla, oltre il vetro, al di là dei controlli. Alzo la mano e ti saluto, tu mi rispondi. Non sorridi. Mi volto e ti lascio andare via, come sempre.

Mi chiedo cosa stiamo facendo. Che cosa stiamo costruendo. Te ne vai e mi svuoti, e neanche la prospettiva di un prossimo incontro non troppo lontano è in grado di accendermi.

sabato 9 febbraio 2013

WALKING ON BY


(11 maggio 2011)

- Non ti rivedrò mai più.
Era nata come una domanda nella mente di Irene quella che, solo una manciata di secondi più tardi, risuonò in tutta la stazione come una chiara e lucida previsione. Giulio estrasse dal pacchetto le ultime due Camel. Nel farlo non riuscì a nascondere un sorriso.
- Sai che non è così.
Le porse piano il piccolo Bic nero, accendendolo davanti al suo naso. Come sempre. Lei, dopo che ebbe fatto, lo ringraziò. Come sempre.
- Spostiamoci un po’.
Presero a percorrere il binario 28 costeggiando il treno che la avrebbe portata in aeroporto. Giulio aveva deciso di non accompagnarla. Le profonde rughe sotto gli occhi fornivano una tangibile prova del livello di stanchezza accumulato durante una pesante giornata lavorativa. Irene pensò che fosse meglio così.
- Le stazioni e gli aeroporti diventano posti tristi quando qualcuno se ne va.
Lo ascoltava, ma senza guardarlo. Poco prima, davanti ad un caffè lui le aveva parlato di come la sua vita sarebbe cambiata, irrimediabilmente cambiata una volta partito per l’America. Come in quel momento, anche ora gli occhi di Irene stavano gonfiandosi, riempiendosi di minacciose lacrime pronte a sgorgare al primo cenno di cedimento. Prese dunque a concentrarsi sulla Camel stretta tra l’indice e il medio della mano sinistra. Il suo accorciarsi le ricordò per un istante la miccia di una bomba, un diabolico ed inarrestabile conto alla rovescia che la avrebbe fatta salire su quel treno carico di rimpianti e parole non dette, forse nemmeno a malapena sussurrate. Come lo scoccare della mezzanotte, dopo che ebbe spento il mozzicone lo speaker annunciò la partenza del suo treno.
- Vado. Non voglio perderlo.
- Ciao Irene.
Si abbracciarono. Lo fecero per due volte. Poi, lo sguardo di lei cadde sulle labbra di Giulio. Desiderò baciarlo. Ma per un terzo abbraccio non v’era più tempo. Non c’era spazio per niente. Così decise semplicemente di abbandonare la piattaforma e di prendere posto sul vagone più vicino. Lo fece di fretta, senza voltarsi. Entrò in una cabina e si sistemò accanto al finestrino. Distrattamente guardò fuori, e lo trovò ancora lì, ad aspettarla, a guardarla.
- Non piangere.
- Non lo farò.
- Non ti sento e non ti vedo nemmeno.
- Non importa.
Giulio rimase immobile fissando il punto che avrebbe dovuto corrispondere al volto di Irene. Temeva potesse scoppiare in lacrime. A gesti provò a farla ridere. Lei lo accontentò. Ma lui non poteva che distinguerne uno sfocato contorno.
Il treno non accennava a partire. Irene avrebbe voluto tornare alla porta, parlargli ancora, racimolare qualche miserabile minuto a quell’esistenza che si stava portando via tutto quanto, prima ancora che qualcosa, qualsiasi cosa, fosse mai realmente accaduta. Invece restò nella sua cabina, attendendo di udire lo stridio dei vagoni sui binari.
Poi, le venne in mente una scena vista in un qualche film di tanti anni fa. Allora, quasi per gioco, appoggiò il palmo della mano al finestrino. Giulio sorrise ed avvicinò la propria, facendole combaciare. Solo in quel momento Irene si rese conto dello spessore del vetro, a separarli. Rimasero così per un’irrisoria quantità di piccoli istanti, buoni neanche a rendersi conto di quanta bellezza si celava dietro a quel gesto.

Forse se ne accorgeranno più tardi, quando saranno ognuno per sé. Il treno, ora, ha già fischiato, ed ha iniziato la sua corsa. E mentre lentamente macina metri di binari, ormai Giulio non è che un puntino lontano che si perde nell’opacità dello sguardo bagnato di Irene. Un puntino che cammina nella direzione opposta alla stazione, lungo gli stessi binari di quel treno.